Carne contro tutto: la posizione del Parlamento sul divieto di termini correlati

di Valeria Paganizza
Era prevedibile? Probabilmente sì. A cosa ci stiamo riferendo? Semplice: all’emendamento che potrebbe portare al divieto di utilizzare alcuni nomi, come bistecca, scaloppina, salsiccia, burger, hamburger, tuorlo d’uovo e albume d’uovo, per prodotti diversi dai prodotti di origine animale (anche se gli emendamenti fanno impropriamente riferimento solo a prodotti e preparazioni a base di carne). L’8 ottobre, durante la seduta plenaria, il Parlamento europeo ha votato gli emendamenti alla Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica i regolamenti (UE) n. 1308/2013, (UE) 2021/2115 e (UE) 2021/2116 per quanto riguarda il rafforzamento della posizione degli agricoltori nella filiera alimentare (COM(2024)0577 – C10-0209/2024 – 2024/0319(COD)).
Di cosa tratta la proposta? Meglio, di cosa “avrebbe dovuto trattare”? La proposta originale della Commissione mirava a rivedere alcuni regolamenti della Politica Agricola Comune (PAC) al fine di rafforzare la posizione degli agricoltori nel mercato, garantendo al contempo, in linea con gli obiettivi della politica menzionata (cfr. Articolo 39 TFUE), redditi equi agli agricoltori. Tra le principali disposizioni della proposta figuravano il chiarimento di concetti come “equo”, “giusto” e “filiera corta” (Articolo 1 del testo originale della proposta, che inserisce una sottosezione 3 bis nel Regolamento (UE) n. 1308/2013); il rafforzamento dei requisiti contrattuali [modifica degli Articoli 148 e 168 del Regolamento (UE) n. 1308/2013]; la revisione parziale del ruolo delle organizzazioni di produttori (modifica dell’Articolo 152 del Regolamento (UE) n. 1308/2013) e le disposizioni sul loro statuto (modifica dell’Articolo 153 del Regolamento (UE) n. 1308/2013). La proposta originale suggeriva la modifica dell’Articolo 210 bis del regolamento (UE) n. 1308/2013 sulle iniziative verticali e orizzontali per la sostenibilità e dell’articolo 222 sulle norme in materia di concorrenza applicabili all’agricoltura.
Come qualsiasi altro atto soggetto alla procedura legislativa ordinaria a norma dell’Articolo 294 TFUE, la proposta della Commissione è stata presentata al Parlamento e al Consiglio per la prima lettura. Ed è qui che la questione è esplosa. Come anticipato sopra, il Parlamento ha incluso, nel testo approvato, alcuni emendamenti che hanno suscitato forti critiche.
L’istituzione dell’UE ha approvato, in particolare, una modifica dell’allegato VIII del Regolamento (UE) n. 1308/2013 (emendamento n. 113), inserendo una parte II bis e una definizione di «carne» che prevede che: «per “carne” si intendono le parti commestibili degli animali di cui ai punti da 1.2 a 1.8 dell’allegato I del regolamento (CE) n. 853/2004, ivi compreso il sangue. I termini e le denominazioni relativi alla carne, ai sensi dell’articolo 17 del regolamento (UE) n. 1169/2011 e attualmente utilizzati per designare la carne e i tagli di carne, sono riservati esclusivamente alle parti commestibili degli animali». Questa formulazione suggerisce immediatamente alcune domande, come il significato di “termini e le denominazioni relativi alla carne”, che non sembra essere definito nel regolamento o in altri atti dell’Unione europea. Se una disposizione come questa viene approvata, c’è una certa discrezionalità nel definire qual è la portata di questa espressione. L’articolo 17 del Regolamento (UE) n. 1169/2011 non aiuterebbe il lettore a riempire di contenuto la formulazione, poiché si riferisce solo al nome da utilizzare per un alimento quando si informano i consumatori, e questo rappresenta un passo successivo: Innanzitutto, il nome dovrebbe essere identificato; quindi, i consumatori possono essere adeguatamente informati ai sensi dell’Articolo 17. Se la legge stabilisce un nome per un alimento, quel nome deve essere utilizzato (denominazione legale). Questo è ciò che accade, ad esempio, per il latte e il vino. Se non esiste una denominazione legale, l’operatore del settore alimentare utilizza una denominazione che è solitamente usata per identificare tale prodotto (denominazione usuale). Se non è presente una denominazione usuale, l’operatore del settore alimentare descriverà la natura dell’alimento (denominazione descrittiva). Ora, verifichiamo l’emendamento. Quali sono i termini e le denominazioni relativi alla carne che vengono attualmente utilizzati per la carne e i tagli di carne? Possiamo davvero “riservarli” alle “parti commestibili degli animali” o una tale disposizione escluderebbe dai mercati prodotti che sono sempre stati chiamati con quei nomi? Possiamo dire, per esempio, che “filetto” è un taglio di carne? Questa denominazione sarà, in caso affermativo, riservata alla carne? Ciò significa che gli operatori del settore alimentare non saranno autorizzati a utilizzarla per il pesce, non essendo ricompreso nei «punti da 1.2 a 1.8 dell’allegato I del regolamento (CE) n. 853/2004»? E il filetto di tofu?
Rendiamo il dilemma ancora più complesso: le parole “bistecca”, “hamburger” e “salsiccia” sarebbero parole riservate solo alla carne, anche se vengono usate per prodotti a base vegetale da decenni? E non stiamo parlando di “nuovi alimenti”, ma ci riferiamo semplicemente a prodotti molto comuni a base di soia e/o verdure (spinaci, patate, carote, piselli, cipolle, ecc.).
Secondo gli emendamenti del Parlamento europeo, la risposta dovrebbe essere affermativa. Nella definizione di «prodotti a base di carne», il nuovo testo suggerisce che l’espressione designa «i prodotti trasformati derivanti dalla trasformazione della carne o dall’ulteriore trasformazione di tali prodotti trasformati, in modo tale che la superficie di taglio mostri che il prodotto non presenta più le caratteristiche della carne fresca. Le denominazioni di cui all'articolo 17 del regolamento (UE) n. 1169/2011 attualmente utilizzate per designare prodotti a base di carne e preparazioni a base di carne sono riservate esclusivamente ai prodotti contenenti carne» e aggiunge «Tali denominazioni includono, ad esempio: bistecche; scaloppine; salsicce; burger; hamburger; tuorli d’uovo; albumi d’uovo [punteggiatura nostra]». A parte il fatto che si tratta di denominazioni estremamente comuni, attualmente utilizzate per diversi prodotti non a base di carne, avete notato qualcosa di strano? Avete constatato, per esempio, che, secondo il Parlamento europeo, il “tuorlo d’uovo” e l’“albume d’uovo” sono considerati “prodotti contenenti carne”? Pare evidente che l’Istituzione stia confondendo tra prodotti che contengono effettivamente carne e “prodotti di origine animale”.
Il Lettore potrebbe forse avere l’impressione che gli emendamenti del Parlamento siano stati scritti in modo affrettato. La sensazione potrebbe essere rafforzata considerando che la formulazione successiva dei testi votati dal Parlamento aggiunge: «I prodotti a base di pollame e i tagli di pollame quali definiti nel regolamento (UE) n. 543/2008, recante modalità di applicazione del regolamento (UE) n. 1234/2007 del Consiglio per quanto riguarda le norme di commercializzazione per le carni di pollame, sono riservati esclusivamente alle parti commestibili degli animali e ai prodotti contenenti carni di pollame [sottolineatura nostra]». Cosa significa? Come possono essere riservati i “prodotti e tagli di pollame” alle parti commestibili degli animali e ai prodotti contenenti carne di pollame? È ovvio che i prodotti avicoli siano “costituiti” da pollame. Probabilmente il Colegislatore intendeva riferirsi alle denominazioni dei prodotti e dei tagli, riservandole così al pollame. Avrebbe avuto più senso. Tuttavia, non è forse un pleonasmo? Come abbiamo menzionato poche righe sopra, gli emendamenti approvati dal Parlamento includevano già pollame e carni di pollame, includendo, nella definizione di carne, «le parti commestibili degli animali di cui ai punti da 1.2 a 1.8 dell’allegato I del regolamento (CE) n. 853/2004». Il punto 1.3 precisa infatti «“Pollame”: carni di volatili d’allevamento, compresi i volatili che non sono considerati domestici ma che vengono allevati come animali domestici, ad eccezione dei ratiti». Le stesse considerazioni dovrebbero essere tratte per tutti gli emendamenti relativi alla carne, ai prodotti a base di carne, ai prodotti contenenti carne, ai tagli e alle denominazioni pertinenti.
Il fatto che fosse necessaria una revisione prima di sottoporre gli emendamenti al voto della seduta plenaria è suggerito anche dall’ultimo paragrafo dell’emendamento che stiamo esaminando, dove si afferma che «Le denominazioni di cui sopra non possono essere utilizzate per alcun prodotto diverso da quelli a cui si riferiscono ed escludono i prodotti derivati da coltura cellulare». Questa disposizione segue il paragrafo sulla carne di pollame. Dovrebbe quindi essere riferita solo a questo paragrafo o dovrebbe invece riferirsi a qualsiasi denominazione relativa alla carne? La logica suggerirebbe che l’interpretazione debba essere estensiva, includendo qualsiasi nome legato alla carne, come “disciplinato” nell’intero emendamento.
Ancora una volta, la ragionevolezza della disposizione potrebbe essere posta in discussione se solo si considerasse, ad esempio, che la carne da coltivazione cellulare non è ancora stata autorizzata e, anche se un’autorizzazione fosse rilasciata ai sensi del Regolamento (UE) 2015/2283, il regolamento di esecuzione includerebbe tutte le informazioni atte ad evitare di indurre in errore i consumatori.
Ora, cerchiamo di essere molto pratici. Cosa intende ottenere il Parlamento attraverso gli emendamenti? Se l’intento fosse proteggere gli agricoltori, non riusciremmo a comprendere il nesso tra disposizioni e scopo. Il divieto di utilizzare alcuni termini non è in alcun modo legato alla produzione primaria: cambiare il nome a un prodotto non a base di carne non porterebbe gli agricoltori una migliore qualità di vita o maggiori redditi. Da un lato, se ci riferissimo ai soli allevatori, nessun impatto influenzerebbe la produzione (in senso positivo). D’altra parte, se considerassimo i produttori di verdure o soia da utilizzare nei prodotti a base vegetale, pure questi non trarrebbero alcun beneficio dalla suddetta limitazione. Gli emendamenti, pertanto, non sembrano essere stati inclusi per la protezione degli agricoltori.
Qualcuno potrebbe affermare che lo scopo sia proteggere i consumatori. La domanda che un lettore potrebbe porsi sarebbe, tuttavia: «Proteggere i consumatori da cosa?». Se una pratica fosse ingannevole, interverrebbero comunque disposizioni (come l’articolo 7 del Regolamento (UE) n. 1169/2011) già presenti nella legislazione dell’UE. Inoltre, il consumatore medio è in grado di capire il significato di termini ed espressioni come “a base vegetale”, “vegetale” e “di soia” ed è anche in grado di distinguere tra prodotti a base di carne e non, se adeguatamente etichettati. Aggiungiamo un ulteriore elemento di riflessione: come potrebbe un operatore del settore alimentare descrivere un veggie-burger o delle polpette vegetali? Sarebbe, in altri termini, più chiaro chiamarlo “burger vegetale” o “medaglione vegetale”?
Mettiamo sul piatto un’altra domanda. Avete mai ordinato cibo a domicilio? Supponiamo che un ristorante abbia nel suo menù la lista degli hamburger. Violerebbe la legge l’operatore che includesse, nella suddetta lista, le opzioni di pesce e vegetariane? Se il testo dovesse rimanere quello approvato dal Parlamento, la risposta sarebbe affermativa.
Si è impiegato, ora, un periodo ipotetico, dal momento che la posizione del Parlamento è stata adottata, per ora, in prima lettura. Seguirà la trasmissione al Consiglio, che dovrà approvare l’atto con la medesima formulazione. Se, tuttavia, non approvasse il testo del Parlamento europeo, il Consiglio dovrebbe adottare una propria posizione in prima lettura, ritrasmettendola al Parlamento per la seconda lettura.
Ciò che si potrebbe sperare è che il Consiglio si avveda dell’errore e dell’impatto negativo “affrettato” testo del Parlamento e non approvi gli emendamenti.
I pessimisti potrebbero tuttavia preconizzare che, in considerazione delle posizioni espresse da alcuni governi contro i prodotti a base vegetale e la carne da cellule coltivate, la possibilità che il Consiglio non approvi gli emendamenti analizzati sia decisamente bassa, nonostante le criticità mostrate dalla formulazione attuale per altri settori (pesce) e per la corretta informazione dei consumatori.