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La sentenza Terra dei Fuochi tra tutela dei diritti e impatto sulla sicurezza alimentare

Di Ludovica Tripodi

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  1. INTRODUZIONE: QUALCHE ELEMENTO DI CONTESTO 

Il 30 gennaio 2025, la Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU) ha condannato l’Italia per aver violato gli art. 2 («diritto alla vita») e art. 8 («diritto al rispetto della vita privata e familiare») della Convenzione europea dei diritti dell’uomo in merito alla gestione dell’emergenza ambientale nella c.d. Terra dei Fuochi. 

L’aerea in questione, che oggi comprende circa 90 Comuni nelle province di Caserta e Napoli, è stata denominata per la prima volta Terra dei fuochi nel 2003 in un rapporto dell’associazione Legambiente Onlus, nel quale veniva posta l’attenzione sullo sversamento, incendio e combustione illegale di rifiuti pericolosi nel territorio appartenente, nello specifico, ai comuni di Qualiano, Villaricca e Giugliano, in provincia di Napoli.

La prima definizione legislativa del fenomeno e del territorio coinvolto era contenuta all’interno del decreto legge 10 dicembre 2013, n. 13683, convertito con modificazioni dalla legge 6 febbraio 2014, n. 684, nella quale si individuavano cinquantasette Comuni coinvolti nelle province di Napoli e Caserta, compresi i Comuni capoluogo, su cui attivare una serie di indagini di tipo ambientale e sanitario e alla quale è seguita una direttiva interministeriale 23 dicembre 2013, rubricata Indicazioni per lo svolgimento delle indagini tecniche per la mappatura dei terreni della Regione Campania destinati all’agricoltura di cui all’art. 1, comma 1, del decreto-legge 10 dicembre 2013, n.136; successivamente, le direttive interministeriali del 16 aprile 2014 e del 10 dicembre 2015 hanno aggiunto, rispettivamente, altri trentuno e due Comuni all’elenco. 

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Nel gennaio 2018, la XII Commissione permanente del Senato della Repubblica, Igiene e Sanità, a seguito di un’indagine conoscitiva, ha redatto una relazione, nella quale, oltre a ricostruire la gravità del fenomeno, ha evidenziato che la popolazione coinvolta, residente nel territorio c.d. Terra dei Fuochi, ammonta a 2.355.482 abitanti nella provincia di Napoli e a 607.654 nella provincia di Caserta; nello stesso anno, la Commissione d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati ha definito l’inquinamento del territorio in questione come «fenomeno della Terra dei Fuochi» (Sesta Commissione Parlamentare d’Inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati, Rapporto sulla Campania, 28 febbraio 2018, p. 195). 

Dal 1995 sino ad oggi, infatti, il fenomeno è stato oggetto del lavoro di numerose commissioni parlamentari di inchiesta nelle quali, sin dal primo rapporto nel 1996, è stata evidenziata la presenza, da tempo nota, di attività illegali svolte da associazioni criminali organizzate. In aggiunta a ciò, studi clinici e medici hanno riscontrato l’aumento di morti per tumore nei succitati Comuni a causa di conoscenze inadeguate, connivenza e insufficienza della portata afflittiva delle sanzioni. 

È proprio la Corte EDU, al § 388, ad osservare, infatti, che il Parlamento italiano era al corrente già dal 1996, con la redazione della relazione della prima Commissione di inchiesta, dell’aumento della frequenza di tumori in alcune zone della regione Campania e che la relazione della sesta commissione parlamentare d’inchiesta, presentata nel 2018, ha evidenziato come l’azione delle autorità preposte sia stata a lungo rallentata o impedita da questioni amministrative e dalle difficili relazioni tra le diverse autorità responsabili per la decontaminazione dei siti.

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A causa di quanto sin qui esposto, già la Corte di Giustizia dell’Unione europea aveva condannato l’Italia due volte sul punto con la sentenza del 26 aprile 2007 sul caso C-135/05, Commissione c. Italia e con la sentenza del 4 marzo 2010 sul caso C-297/08, Commissione c. Italia, accertando da parte dell’Italia il venir meno ad alcuni obblighi previsti dal diritto sovranazionale. 

Seguiva poi una terza sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (sentenza del 16 luglio 2015, C-653/13, Commissione c. Italia) con cui l’Italia veniva condannata al pagamento di una multa di euro 20.000.000, poiché inadempiente rispetto a quanto sancito nella precedente pronuncia.  

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Tornando alla pronuncia in esame la Corte, inoltre, richiama e specifica la diversità tra la situazione riguardante il caso oggetto di analisi e quella più grave esistente in altre zone d’Italia, come l’area di Taranto, «dove le fonti sono ben localizzabili e limitate nel numero, il tipo d’inquinamento ha caratteristiche chimiche e fisiche conosciute e la popolazione a rischio è più facilmente identificabile. Nella Terra dei Fuochi, il fenomeno è caratterizzato dalla molteplicità e diversità delle fonti d’inquinamento, dalla loro estensione geografica e dal concorso tra attività di bande criminali e di poteri industriali la cui determinazione si presenta, per vari motivi, particolarmente complessa» (T. Scovazzi, 2025, p. 2).

  1. I PARAMETRI DI GIUDIZIO: GLI ARTT. 2 E 8 DELLA CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO 

Come è noto, la sentenza nasce da quattro diversi ricorsi presentati tra il 2014 e il 2015 da quarantuno persone fisiche e cinque associazioni.

Secondo la Corte, l’inquinamento ambientale sistematico e l’insufficiente azione dello Stato hanno comportato una violazione degli articoli 2 e 8 della Convenzione EDU, che tutelano rispettivamente il diritto alla vita e il diritto al rispetto della vita privata e familiare. In merito all’art. 2, la Corte ribadisce il suo approccio interpretativo della disposizione, argomentando che proprio lo scopo e l’oggetto della Convenzione necessitano che la stessa sia interpretata in modo da rendere le sue garanzie efficaci. I rischi ai quali sono stati esposti i cittadini residenti nella Terra dei Fuochi sono stati immanenti e reali, con la configurazione di una violazione da parte dello Stato che non ha agito in modo preventivo. La Corte specifica, inoltre, che per configurare la violazione dell’art.2 della Convenzione non è necessario il decesso ma la sola esposizione del soggetto ad un rischio grave e accertabile e che lo Stato è responsabile di condotte omissive attive, come la mancanza di bonifica e di monitoraggio, e di carenze normative e sistemiche. 

Per quanto concerne l’art.8, invece, negli anni la giurisprudenza della Corte ha ampliato molto il campo di applicazione della norma. Nello specifico, il fine dell’articolo 8 è la tutela dalle ingerenze arbitrarie nella vita privata e familiare, nel domicilio e nella corrispondenza da parte di un’autorità pubblica. Il concetto di “vita privata”, quindi, non consente di identificare una definizione completa ed esaustiva: al suo interno, infatti, vi sono sia l’integrità fisica che quella psicologica e può «abbracciare molteplici aspetti dell’identità fisica e sociale della persona» (Denisov v. Ucraina [GC], § 95; S. e Marper v. Regno Unito [GC], § 66). Inoltre, secondo giurisprudenza consolidata della Corte, anche condizioni ambientali destabilizzanti o pericolose possono incidere in modo negativo sul benessere psicofisico della persona; nonostante ciò, però, si configura una violazione dell’art. 8 qualora la situazione sfavorevole in questione colpisca direttamente e gravemente il soggetto e sia in grado di incidere sulla qualità della vita dello stesso (Çiçek e altri v. Turchia (dec.), § 32 e §§ 22-29; Fadeyeva v. Russia, §§ 68-69), che si realizza anche quando la causa dell’inquinamento sia imputabile allo Stato o qualora lo Stato non abbia correttamente regolarizzato le attività atte alla bonifica da parte del settore privato. Per concludere, secondo i giudici di Strasburgo, si intende violata la disposizione in commento poiché l’assenza di informazioni preventive sui rischi per la salute non ha permesso ai cittadini di comprendere fino in fondo i rischi ai quali erano esposti e prendere le necessarie contromisure a contrasto dei rischi sanitari e ambientali. 

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  1. LA VIOLAZIONE DEI PARAMETRI DI GIUDIZIO E LA TUTELA DELLA SICUREZZA ALIMENTARE (FOOD SAFETY)

La sentenza è stata molto commentata dai giuristi per i suoi profili giurisprudenziali profondamente innovativi. Senza dubbio, però, non è stato abbastanza approfondito l’impatto che il fenomeno Terra dei Fuochi ha avuto in tema di food safety. 

Come precedentemente accennato, la sentenza della Corte EDU ha stabilito che lo Stato italiano non ha provveduto a proteggere e tutelare la salute di milioni di abitanti che sono stati esposti a una minaccia ambientale prevedibile e non contrastata con sufficiente efficacia. In particolare, la compromissione e il pericolo per la salute umana non riguardano solo l’inquinamento dell’aria e del suolo ma anche la contaminazione della catena alimentare, nello specifico di frutta, verdura e prodotti di origine animale a causa della presenza di rifiuti e fumi tossici all’interno delle aree agricole. È scientificamente dimostrato, infatti, che le sostanze tossiche rilasciate nel sottosuolo – diossine, metalli pesanti, policlorobifenili – possono penetrare nei tessuti vegetali o animali attraverso la c.d. bioaccumulazione. Uno dei rilievi fatti dai giudici di Strasburgo riguarda proprio l’omissione nella protezione dell’ambiente agricolo che ha quindi comportato la successiva omissione del monitoraggio sistematico e costante dei prodotti alimentari coltivati/ottenuti a partire dalle zone a rischio. Ciò ha inevitabilmente compromesso la possibilità dei cittadini/consumatori di effettuare scelte sicure e, soprattutto, consapevoli in materia alimentare. In punto di diritto, la Corte, in relazione alla violazione dell’art. 2, ha successivamente sottolineato come tale disposizione debba e possa connettersi inscindibilmente all’art. 32 della Costituzione italiana, quale «diritto fondamentale dell'individuo e interesse della collettività». 

Le informazioni circa la salubrità degli alimenti prodotti localmente sono state per lungo tempo incomplete, frammentarie o addirittura coperte da segreto di Stato, come rilevato dai lavori delle Commissioni di inchiesta che, come precedentemente accennato, si sono per anni occupate del tema. La mancanza di trasparenza e accessibilità dei dati ambientali e sanitari ha reso di fatto impossibile l’esercizio pieno del diritto alla salute, trasformando l’incertezza scientifica in una condizione strutturale di insicurezza anche psicologica, per intere comunità. Ciò si inserisce all’interno della violazione dell’art. 8 CEDU, poiché in assenza di dati condivisi e aggiornati i cittadini/consumatori non hanno potuto adottare alcun comportamento cautelativo. 

La sentenza, quindi, oltre ad aver riconosciuto la sicurezza alimentare, intesa come food safety, quale parte integrante dell’oggetto di tutela del diritto alla salute, ha anche stabilito che lo Stato italiano non solo non ha garantito la tutela dei diritti sin qui citati ma non ha neanche ottemperato al suo obbligo positivo di tutela, lasciando esposti milioni di abitanti (circa il 52% della popolazione campana) a una minaccia ambientale nota, prevedibile e non contrastata con sufficiente efficacia.

In particolare, la sentenza cita il c.d. QR code Project, un progetto lanciato nel 2015 dalla Regione Campania che intendeva essere un sistema pubblico di certificazione volontaria allo scopo di garantire la tracciabilità e la sicurezza dei prodotti agroalimentari prodotti nell’area della c.d. Terra dei fuochi. Le aziende partecipanti avrebbero dovuto sottoporre i loro prodotti a test effettuati dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno (IZSM) e i risultati delle analisi avrebbero dovuto essere accessibili ai consumatori attraverso un QR code stampato sulle etichette dei prodotti alimentari.

Allo stesso tempo, la regione Campania, sempre in collaborazione con l’IZSM, aveva anche istituto il c.d. Transparent Campania Integrated Monitoring Programme che prevedeva campagne di monitoraggio integrate che riguardavano non solo l’ambiente e le sue componenti ma anche gli alimenti, inclusi quelli di origine animale e vegetale e la fauna selvatica. Lo scopo di tale programma, specificamente citato all’interno della sentenza, era il seguente: «to obtain data on human exposure to pollutants on a regional scale and to promote a “culture of transparency” in the spheres of food safety and the environment». I giudici di Strasburgo hanno però evidenziato come, in primis, tali programmi e iniziative siano stati tardivi, parziali e non sistematici, poiché, ad esempio, le analisi venivano spesso effettuate su base volontaria e non obbligatoria senza neanche coprire l’intero territorio coinvolto; in secondo luogo, hanno rilevato la mancanza di una comunicazione istituzionale chiara e continuativa atta a fornire ai cittadini/consumatori tutte le informazioni utili a compiere scelte alimentari consapevoli e sicure. 

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  1. CONCLUSIONI 

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Per concludere e per evidenziare ancor di più le succitate violazioni strutturali, la Corte ha attivato la procedura di sentenza pilota che si applica in presenza di un fenomeno sistemico e persistente nonché di un gran numero di persone potenzialmente coinvolte e quando vi è la necessità urgente di garantire un risarcimento rapido e appropriato. Inoltre, la Corte, entro due anni dalla sentenza definitiva, ha imposto all’Italia: a) la messa in sicurezza e bonifica delle aree contaminate con reporting dettagliato, continuativo e facilmente consultabile; b) l’istituzione di un meccanismo di monitoraggio indipendente con il coinvolgimento della società civile; c) la creazione di una piattaforma pubblica di informazione con dati aggiornati, completi e accessibili. 

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All’interno del paragrafo finale della sentenza – ed è forse questa la conclusione più interessante – la Corte sostiene che l’inquinamento da rifiuto e il cambiamento climatico sono questioni policentriche che non conoscono confini nazionali, colpendo in modo diseguale le fasce più vulnerabili della popolazione. Proprio come la sentenza Verein KlimaSeniorinnen Schweiz and Others, la Corte riconosce che anche la gestione dei rifiuti ha un impatto intergenerazionale, e, quindi, un significato etico e giuridico che va oltre il presente e l’immediato. Ed è proprio in questo contesto che la food safety, che viene qui coinvolta in modo trasversale per quanto concerne la qualità degli alimenti, l’accesso equo al cibo salubre e la possibilità per le generazioni future di vivere in un ambiente sano richiede politiche pubbliche integrate, cooperazione tra attori pubblici e privati e una trasformazione profonda dei modelli non solo agricoli e produttivi ma anche normativi. 

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Quanto sin qui esposto, dovrebbe, infine, condurre ad un rafforzamento dei sistemi di sorveglianza sui residui contaminati nei prodotti agricoli tramite monitoraggi periodici non solo su campioni casuali ma anche georeferenziati, della tracciabilità di filiera e della trasparenza nei dati scientifici, aggiornati e comprensibili per il consumatore medio. 

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