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Sfide commerciali nell’era dell’America First: effetti e prospettive per le indicazioni DOP ed IGP

Di Martina Salerni

Il ritorno di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti nel gennaio 2025 ha alterato le relazioni commerciali a livello globale, concretizzando il rischio “di rottura con le politiche economiche precedentemente condotte dalle amministrazioni degli ultimi 20 anni” (Daveri F., ISPI Online, Protezionismo, immigrazione e Cina: i pilastri dell'agenda economica di Trump) e compromettendo l’equilibrio dei mercati internazionali.

La tendenza verso un nuovo protezionismo ha messo in crisi i principi di non discriminazione e reciprocità dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Staiger R., East Asia Forum, How Trump threatens the world trading system).

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Con l’adozione dell’Executive Order 14257, gli USA hanno dunque applicato barriere tariffarie in più di 90 Paesi, imponendo dazi mirati anche contro l’Unione europea ed altre potenze economiche mondiali, con l’intento di penalizzare, in particolare, quegli Stati che non intrattengono accordi commerciali aggiornati con gli Stati Uniti (BBC News, Trump’s Tariffs: How businesses around the world responded). 

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Il Presidente statunitense promette una regolamentazione tariffaria ancora più aspra di quella adottata nel 2018-2019, al fine di mettere a punto un processo di reindustrializzazione che possa “proteggere i lavoratori e le industrie americane e rilanciare l’economia di settori tradizionali a partire dalla filiera chimica e dell’automotive” (Ratto F., Il Caffè Geopolitico, Trump e il ritorno del protezionismo: un pericolo per il commercio globale?).

L’obiettivo, dunque, è seguire l’approccio dell’America first, il quale promuove l’autosufficienza economica americana, incentivando la produzione negli USA e contrastando la delocalizzazione industriale delle aziende americane (Daveri F., ISPI Online, Protezionismo, immigrazione e Cina: i pilastri dell'agenda economica di Trump).

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Inevitabili sono le ripercussioni della politica trumpiana sull’economia globale, concretizzando il rischio di una guerra commerciale e paventando una significativa riduzione del PIL globale entro il 2027, con una contrazione stimata intorno allo 0.6%. Se consideriamo anche le altre politiche adottate dalla Casa Bianca, quali il taglio delle tasse (introdotto con la riforma fiscale “One Big Beautiful Bill Act”) e la stretta migratoria (prevista dalla Proclamazione Presidenziale 10949, il calo del PIL si attesterebbe intorno all’1,2% già nel 2026 (Tajoli L., Italia R., ISPI Online, Trump: The Tariff Man è tornato).

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A tal proposito, ci si interroga su quale sia l’effettivo ruolo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), istituita nel 1994 con l’intento di favorire il commercio globale: l’OMC si prefigge di rimuovere le restrizioni agli scambi e dirimere le controversie tra gli Stati membri in ambito commerciale, come statuito all’art. 3 dell’Accordo di Marrakesh, il quale esplicita le funzioni dell’OMC. Quindi, l’OMC “lavora per garantire un sistema commerciale internazionale fondato su un insieme di regole” (European Parliament, Fact Sheets on the European Union, The European Union and the World Trade Organization). 

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Gli interessi di Trump rischiano di affossare ulteriormente un sistema commerciale già compromesso: le crescenti difficoltà nel fronteggiare le tensioni commerciali, nello specifico tra Stati Uniti e Cina, hanno reso l’OMC oggetto di dibattito. Tale situazione di stallo si è aggravata ulteriormente con la tendenza da parte degli Stati membri a stipulare accordi bilaterali anziché trattati multilaterali, i quali definiscono regole comuni per il commercio tra i Paesi membri dell’OMC (Lepri G., Solomone I., La Voce, Con la crisi del Wto è in gioco il multilateralismo).

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Benché la Costituzione USA preveda la possibilità di intraprendere azioni unilaterali e di aumentare le tariffe contro l’importazione di “beni di uno specifico o specifici Paesi” (Export USA, Dazi USA e Politica Commerciale degli Stati Uniti), tali pratiche costituiscono una violazione di uno dei principi fondanti dell’OMC, quello del “most-favoured-nation” (World Trade Organization, Understanding the WTO: principles of the trading system), di cui all’art. I GATT (Export USA, Dazi USA e Politica Commerciale degli Stati Uniti).

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La clausola della nazione più favorita sancisce il principio di non discriminare tra i partner commerciali, per cui “any advantage, favour, privilege or immunity granted by a contracting party to any product originating in or destined for any other country shall be accorded immediately and unconditionally to the like product originating in or destined for the territories of all other contracting parties” (General Most-Favoured-Nation Treatment, art. I GATT).

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Gli USA avevano in precedenza già violato le regole dell’OMC, in particolare quelle previste dall’art. 20 del GATT 1994: secondo tale norma sarebbe infatti possibile imporre limitazioni al commercio, se giustificate. Nel 2018, nello specifico, a seguito della decisione di imporre dazi su acciaio ed alluminio sulla base di norme a tutela della sicurezza nazionale (Sez. 232 Trade Expansion Act 1962), gli USA non solo avevano applicato restrizioni al commercio senza che vi fosse una minaccia tale da giustificare l‘invocazione dell’articolo, ma avevano eluso la “procedura dell’OMC per l’adozione di misure di restrizione al commercio” (Belladonna A., Gili A., ISPI Online, Fact Checking: i dazi di Trump), applicando i dazi senza permettere all’OMC di ponderare l’adeguatezza delle misure commerciali imposte. 

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In base a tale procedura, qualora vi fosse il rischio di pregiudizio da parte di un altro Stato membro, sarebbe necessario ricorrere dapprima a consultazioni amichevoli e, solo in un secondo momento (qualora le raccomandazioni e le decisioni di Panel e Appellate Body non siano attuate), sarebbe possibile richiedere l’autorizzazione all’uso di misure commerciali restrittive, come enunciato all’art. 22, Allegato 2 dell’Accordo di Marrakesh .

In tal senso, le ripetute violazioni ed iniziative autonome avviate dalla seconda presidenza Trump hanno contribuito al raggiungimento di quella che è considerata ormai come la crisi peggiore mai vissuta dall’OMC (CEPR, Why the US and the WTO should part ways).

 

Nel maggio 2025, la Commissione europea ha dichiarato l’intenzione di presentare una richiesta di consultazioni presso l’OMC: la motivazione risiederebbe proprio nel fatto che i dazi statunitensi costituiscono un grave pregiudizio alle regole fondamentali dell’OMC. Inoltre, sempre nel maggio 2025, la Commissione stessa ha stilato un elenco di contro dazi, al fine di contrastare la politica aggressiva della Casa Bianca: esso prevede l’applicazione di dazi nei confronti dei prodotti tipici dell’export americano, dalle carni al merluzzo dell’Alaska, ma anche nei confronti di SUV, pick-up ed aeromobili (Rai News, La Ue annuncia ricorso al Wto contro i dazi reciproci di Trump).

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A scongiurare l’applicazione dei dazi della maxi-lista, onde evitare quindi il rischio di una guerra commerciale transatlantica, è intervenuto l’accordo del 27 luglio scorso, tra il Presidente Trump e la Presidentessa della Commissione europea, Ursula Von Der Leyen: l’intesa ha stabilito che i dazi applicati dagli USA si manterranno al 15% per la gran parte dei prodotti importati, a partire dal 7 agosto 2025 (Financial Times, US and EU reach tariff agreement to avert trade war).

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La misura si applica per le merci attualmente tassate al di sotto del 15%, mentre non vi saranno variazioni per i prodotti già soggetti a dazi del 15%. L’azione, come ribadito dalla Commissione, è volta a proteggere “settori sensibili dell’agricoltura europea come quelli delle carni bovine o del pollame” (Ruminantia, Trump rinvia i dazi al 7 agosto).

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L’Unione europea ha quindi attualmente accantonato la misura estrema dei contro dazi, lasciando comunque aperta la possibilità di farne ricorso qualora i patti non venissero rispettati (Sky Tg24, Dazi Trump, Ue: 'Contro-tariffe sospese per sei mesi. Spetta a Usa attuare accordo).

Tuttavia, sebbene l’Unione europea sia riuscita a tutelare, entro certi limiti, i propri interessi commerciali, resta piuttosto critica la situazione relativa agli altri Stati: è questo il caso del Canada, ad esempio, le cui tariffe sono aumentate vertiginosamente passando dal 25% al 35% (Ruminantia, Trump rinvia i dazi al 7 agosto).

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Nei rapporti commerciali USA-UE, a pagare lo scotto dello scontro commerciale è soprattutto il settore agroalimentare europeo. In particolare, il Made in Italy ed i suoi settori di eccellenza quali “vino, formaggi, olio, salumi e pasta potrebbero subire un contraccolpo devastante” (Ruminantia, Dazi USA: lo scontro commerciale travolge l’agroalimentare europeo).

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A tal proposito, si è espresso anche il Ministro dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, Francesco Lollobrigida, il quale, in occasione di una videoconferenza tenuta insieme ai presidenti dei consorzi DOP ed IGP per discutere dei potenziali rischi derivanti dai dazi, ha sottolineato la necessità di proteggere le indicazioni geografiche. Queste ultime, infatti, sono sinonimo di qualità e contribuiscono, non solo ad incrementare la crescita economica italiana, ma anche a salvaguardare e a diffondere l’identità del nostro Paese nel mondo. 

Sebbene il sistema agroalimentare italiano non stia attraversando un momento di crisi, è fondamentale agire preventivamente, mettendo a punto delle strategie che garantiscano la continua collaborazione tra imprese ed istituzioni, a partire dal governo stesso, al fine di proteggere il settore agroalimentare e permettere agli imprenditori di continuare ad operare nel proprio ruolo in circostanze ottimali (Ruminantia, Convocato al Masaf il tavolo delle Indicazioni Geografiche).

 

A temere gravi conseguenze è anche la realtà produttiva parmense: con ben 6 filiere produttive, tra le più importanti del sistema agroalimentare italiano, si paventano ripercussioni sull’export delle “4 P dell’eccellenza” (Gazzetta di Parma, Dazi, l'allarme delle associazioni degli agricoltori per gli effetti sulla Food Valley ): Parmigiano Reggiano DOP, Prosciutto di Parma DOP, pasta e pomodoro.

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Basti pensare, infatti, che alla sola Food Valley emiliana si attribuisce il 5% dell’export alimentare in Italia: si tratta, pertanto, di una vera e propria “DOP economy” (Fondazione Qualivita, Dazi: DOP e IGP nel mirino di Trump), nella quale “gli USA rappresentano il 21% dell’export totale” (Fondazione Qualivita, Dazi: DOP e IGP nel mirino di Trump).

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In particolare, l’export di Parmigiano Reggiano DOP ha come primo mercato proprio gli Stati Uniti, per un valore pari a 100 milioni di euro: quello americano, infatti, costituisce attualmente il mercato estero più appetibile per l’esportazione di formaggi duri (Gazzetta di Parma, Dazi, l'allarme delle associazioni degli agricoltori per gli effetti sulla Food Valley ).

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A guardare con attenzione alle prossime decisioni di Trump sono anche i dipendenti del gran numero di aziende del territorio: si calcola che “per ogni 10% di riduzione dell’export verso gli Usa, si potrebbero perdere circa 5 mila posti di lavoro nell’intera filiera agroalimentare” (Fondazione Qualivita, Dazi Usa, la Food Valley di Parma: "Prodotti DOP i più penalizzati" ).

La solida relazione di export tra Italia-USA per lo scambio di prodotti DOP ed IGP fa sì che l’applicazione di dazi possa creare uno svantaggio anche per l’economia statunitense, provocando un “aumento dei costi lungo la filiera e al consumo finale” (Fondazione Qualivita, Dazi Usa, la Food Valley di Parma: "Prodotti DOP i più penalizzati" ).

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Sebbene i dazi doganali introdotti da Trump siano presentati come un successo per l’economia americana (Monacelli T., La Voce, Sui dazi di Trump pesano due grandi equivoci), gli esperti sostengono che l’applicazione degli stessi avrebbe conseguenze negative sull’occupazione complessiva, compromettendo l’efficienza del mercato, “pur potendo generare modesti benefici per l’occupazione nei settori direttamente protetti" (Galli G., Geraci N., Università Cattolica del Sacro Cuore, Chi paga i dazi di Trump? Una rassegna della letteratura).

D’altronde, a soffrire l’impatto sarebbero anzitutto le imprese e i consumatori americani: “si riduce la concorrenza, aumentano i prezzi e, potenzialmente, si rallenta la crescita” (Monacelli T., La Voce, Sui dazi di Trump pesano due grandi equivoci).

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Alla luce di quanto esposto, si evince che l'aumento dei dazi più che una vittoria è in realtà una “tassa mascherata imposta a imprese e cittadini americani che, spesso inconsapevolmente, ne subiscono gli effetti diretti e indiretti, in termini di minore possibilità di scelta” (Monacelli T., La Voce, Sui dazi di Trump pesano due grandi equivoci). Si tratterebbe, pertanto, più che di una vittoria economica, di una vittoria politica ed ideologica, nel tentativo di sanare il deficit pubblico e un’economia ormai sempre più vulnerabile  (Monacelli T., La Voce, Sui dazi di Trump pesano due grandi equivoci).

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D’altro canto, se gli Stati Uniti non sembrano, in fin dei conti, trarre grande vantaggio dall’applicazione dei dazi, quello che è ormai certo è che “eventuali azioni statunitensi nei confronti dell’Ue non potrebbero che avere un impatto negativo sulle nostre importazioni” (Belladonna A., Gili A., ISPI Online, Fact Checking: i dazi di Trump).

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Per far fronte a tale rischio, secondo il Ministro Lollobrigida una possibile strategia per mitigare l’impatto economico dei dazi sull’economia italiana consisterebbe nell’implementare la promozione dei prodotti d’eccellenza, spingere verso nuovi mercati e rafforzare il binomio istituzioni-privati: tutti punti chiave per affrontare tale sfida e tutelare, quanto più possibile, il made in Italy, garantendo sicurezza e stabilità alle filiere del settore (Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, Convocato tavolo delle IG. Lollobrigida: lavorare su promozione e nuovi mercati esteri).

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